“Banalizzando, si può paragonare il nostro intervento a quanto fa un dentista per curare una carie. Utilizzando delle piccole motoseghe, apriamo il tronco ed esportiamo la parte intaccata dal mal d’esca. La pianta “disintossicata” dalla malattia, riacquista nel giro di poco tempo vigore, riprende a fruttificare e torna pienamente produttiva”: così Marco Simonit spiega la “dendrochirurgia”, ovvero la nuova frontiera per salvare i vigneti dal mal d’esca, probabilmente la più grave e diffusa malattia che colpisce i vigneti di tutto il mondo, e in particolar modo quelli europei, messa a punto da Simonit&Sirch Preparatori d’uva, ormai presenza costante tra le vigne delle più importanti cantine di tutta Italia (http://simonitesirch.it), ma anche di Francia (con nomi come Château d’Yquem, Château Latour, Louis Roederer e Moët & Chandon”, “docenti” del Dute-Diplôme Universitaire de Taille et d’Épamprage, primo e unico Diploma universitario di potatura e scelta germogli al mondo riconosciuto e certificato, promosso in partenariato dall’Université de Bordeaux con l’Isvv-Institute des Sciences de la Vigne et du Vin e considerati ormai uno dei punti di riferimento internazionali nella loro materia..
Una tecnica letteralmente “chirurgica”, la “dendrochirurgia”, per evitare che le piante ammalate siano estirpate e sostituite che, dopo 5 anni di lavori e sperimentazioni in vigneti italiani e francesi, presentano ora i primi, sorprendenti risultati raggiunti: il 90% delle piante trattate è tornato pienamente produttivo.
Un esito di enorme importanza, sia per la qualità dei vini che per la ricaduta economica. Infatti, estirpando le viti malate e sostituendole con nuove barbatelle, si crea nel vigneto una disparità della qualità delle uve, che influisce ovviamente sulla qualità e quantità del vino: avere delle piante più longeve possibile è un’esigenza prioritaria per tutti i vignaioli, ma soprattutto per le più importanti Maisons internazionali, dato che garantisce la continuità qualitativa e la riconoscibilità dei loro grandi vini.
La dendrochirurgia consente inoltre alle aziende notevolissimi risparmi, dato che si evita il costo del reimpianto (estirpo delle viti malate, scavo della buche, impianto delle barbatelle, allevamento) e si ovvia alla mancata produzione da parte delle nuove piante per almeno 3 anni. Una soluzione ad un problema importante per la viticoltura europea: basti pensare che, secondo una relazione di una commissione di inchiesta del Parlamento francese del 2015, il 13% del vigneto francese sarebbe afflitto dal mal dell’esca, e destinato a sparire in assenza di contromisure efficaci.
Come la “dendrochirurgia” che non è un invenzione recente, ma una riscoperta: “facendo ricerche bibliografiche – spiegano i Preparatori d’Uva – abbiamo trovato testimonianze di una tecnica per risanare le piante infette da Esca e eliminare il legno cariato, che risale a circa 100 anni fa. Abbiamo quindi pensato di sperimentare la dendrochirurgia, descritta da Ravaz e Lafon come praticata fin dall’antichità e praticata da Poussard alla fine dell’800 con risultati molto incoraggianti, 90-95% di ceppi risanati – racconta Simonit- e grazie all’interessamento del prof Denis Dubourdieu, recentemente scomparso, già direttore dell’Isvv Istitut des Sciences de la vigne et du vin dell’Università di Bordeaux, l’abbiamo messa in pratica con strumenti moderni”.
Le prime prove sono state fatte nel 2011 a Chateau Reynon, quindi da Schiopetto in Friuli e da Bellavista in Franciacorta. In 6 anni di lavoro e sperimentazione, sono state operate 10.000 piante di 5 varietà (Sauvignon blanc, Chardonnay, Cabernet, Sauvignon, Cabernet Franc, Pinot nero), in vigneti italiani e francesi di 6 regioni viticole: Collio, Isonzo, Franciacorta, Bolgheri, Champagne, Borgogna, Bordeaux. 7 “chirurghi” Simonit & Sirch si dedicano oggi alla formazione delle maestranze interne alle aziende, per insegnare loro le delicate e precise operazioni che portano a perfetti risultati di dendrochirurgia.
“In 4 anni (dal 2013 al 2016) il 90% delle piante di Sauvignon operate nell’azienda Schiopetto sono tornate produttive ed addirittura il 96% di quelle di Chateau Reynon – conclude Simonit – siamo assolutamente soddisfatti di questi risultati, ma non ci fermeremo qui, perché il nostro è un lavoro sempre in progress. Dobbiamo, ad esempio, verificare quale è il miglior periodo dell’anno per intervenire, con quanta frequenza dobbiamo farlo, quante piante può operare al giorno una persona, per quanto tempo le piante che operiamo rimangono asintomatiche”.
Insomma, i risultati della prima sperimentazione sono decisamente incoraggianti, e le prospettive molto interessanti sia per la salute del vigneto che per la sua longevità, che si traduce, non da ultimo, anche in un notevole risparmio per le aziende.
Senza trascurare la qualità del vino, perchè, spiegano Simonit & Sirch, se “le analisi del vino fatte con differenti percentuali di uva proveniente da piante infette confermano un impatto moderato sulla composizione fenolica, l’analisi sensoriale ha rivelato una perdita di qualità sensoriale percepibile già a partire dal 5% di uva infetta nel vino”.
FONTE: winenews.it
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