IN CINA CRESCE IL VINO ITALIANO, MA I COMPETITOR CORRONO PIÙ VELOCI E I BIG SCOMMETTONO SU DI LORO. COME IL COLOSSO ASC FINE WINES (OGGI CON TANTA FRANCIA E ITALIA), CHE AMPLIERÀ IL PROPRIO PORTOFOLIO CON CILE, AUSTRALIA E SPAGNA
In Cina, il vino italiano, grazie agli sforzi delle imprese, ma anche ai tanti fondi pubblici come quelli dell’Ocm, negli anni, ha investito tanto. E qualche risultato comincia ad arrivare, come mostrano i dati sul 2016 riportati dall’Osservatorio Vino di Unione Italiana Vini (Uiv), Istat e Ismea, che registrano una crescita importante sia in volume (+11,4%, 299.000 ettolitri) che in valore (+13,8%), arrivato a 101 milioni di dollari. Ma la strada per il vino del Belpaese in Cina è tutt’altro che spianata. Perchè i competitor (a partire dalla inarrivabile Francia, che, da sola, vale 965 milioni di dollari sui 2,3 miliardi complessivi di importazioni in Cina nell’ultimo anno, secondo i dati della dogana del Paese) crescono tutti a ritmi più elevati, e a partire da cifre più alte.
L’Australia, anche grazie ai vantaggiosi accordi commerciali con la Cina, ha registrato una crescita enorme in volume, a +40%, per oltre 79 milioni di litri, ed un robusto +23,4% in valore, a 542 milioni di dollari. Ma molto bene ha fatto anche la Spagna, che si conferma terzo Paese esportatore in volume nel Celeste Impero, con 72 milioni di litri (+32,3%) per 142 milioni di dollari (+26,6%), e ottime anche le performance del Cile, terzo Paese esportatore in valore, con un 23% sia nelle quantità, a 60 milioni di litri, che in valore, a 209 milioni di dollari. E, proprio sui produttori di questi ultimi tre Paesi, a quanto pare, sembra scommettere per l’immediato futuro uno dei player più importanti dell’import di vino in Cina, ovvero ASC Fine Wines, che, con il suo nuovo Coo, Simon Wang, ha annunciato che per rinnovare il portafoglio, investirà proprio sui vini di Australia, Cile e Spagna (www.asc-wines.com).
Una strategia che “riflette come il mercato è cambiato e maturato”, spiega Asc, che pure distribuisce soprattutto marchi top d’Italia (da Biondi Santi a Gaja, da Castello Banfi a Ruffino, da Carpenè Malvolti a Masi, da Chiarlo ad Alois Lageder, fino ai distillati di Nonino) e di Francia (da Barons de Rothshild a Guigal, da Laurent Perrier a Louis Jadot, per citarne alcuni), ma che dà un segnale importante di come, al di là dei singoli marchi, si potrebbe muovere il mercato cinese nell’immediato futuro a livello di macro-aree e Paesi che stanno affermando il loro brand come luoghi di origine del vino di qualità.
Ma da Asc Fine Wines, che ha incontrato la stampa alla Chengdu Wine Fair, nei giorni scorsi, arriva anche un ulteriore interessante spaccato sullo scenario distributivo del vino in Cina: “le vendite di vino in questo Paese partono da hotel e ristoranti, sono i canali che influenzano le scelte del consumatore finale, ma continuerà anche la crescita dell’e-commerce per il settore”. E, oggi, le vendite di Asc rifletto questa situazione: il 20% delle vendite (oltre 145 milioni di dollari nel 2016) si concentra nel canale horeca, il 27% nel retail, ed il 22% grazie all’e-commerce).
FONTE: winenews.it
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