Wine2Wine – La via italiana al vino passa dalle nostre numerosissime varietà autoctone, che si esprimono al meglio solo nei territori in cui i vitigni e i loro biotipi si sono “selezionati”. Ovvero la triade “vitigno, territorio e tecniche colturali”
La via italiana al vino passa dalle nostre numerosissime varietà autoctone e dai territoriEsiste una via italiana al vino? La risposta è affermativa e viene da lontano. A raccontarla, oggi, a wine2wine a Verona, alcuni dei più autorevoli esperti di viticoltura, quelli che “chi legge di vite conosce come autori ricorrenti nella bibliografia che riguarda la ricerca”, come li ha presentati Ian D’Agata, direttore scientifico di Vinitaly International Academy, che ha moderato l’incontro.

Vitigno, territorio e tecniche colturali: questa la trilogia che traccia la via. “Possiamo definire quella dell’Italia come una terza via – ha spiegato Antonio Calò dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino – se da un lato abbiamo vini da vitigno e dall’altra vini di territorio, quelli italiani sono vini che derivano da cultivar italiane che grazie all’interazione con condizioni pedo-climatiche congeniali nei luoghi di produzione tradizionali esprimono vini di elevata qualità fortemente identitari. Il tallone di Achille dei nostri autoctoni sta nel fatto che non sono ancora abbastanza studiati”.


Vitigni particolari in luoghi particolari, insomma. Come dire che, per esempio, se si dice Aglianico si pensa al Vulture, come per il Nebbiolo si pensa alle Langhe o alla Valtellina. Certo, il Nebbiolo delle Langhe non è quello che si coltiva in Valtellina, che non a caso prende il nome di Chiavennasca. E proprio in questa variabilità genetica all’interno dello stesso vitigno risiede una delle grandi potenzialità del vino italiano.“Il punto di partenza dell’interazione con l’ambiente – ha sottolineato a questo proposito Angelo Costacurta dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino – è proprio il vitigno. Non tutti i vitigni, però, sono uguali. Più grande è la variabilità custodita nel suo patrimonio genetico più il vitigno reagisce alle condizioni di coltivazione e la sua espressione si modifica.Esistono vitigni “stabili”, come il Cabernet Sauvignon, che modificano poco le loro risposte, e altri come le cultivar autoctone italiane che, al contrario “instabili”, interagiscono fortemente con le condizioni di coltivazione. Ecco perché si possono fare facilmente vini buoni da Cabernet Sauvignon, mentre il Nebbiolo può dare risultati eccezionali nelle Langhe e altrove produrre vini mediocri. Oggi grazie alle analisi molecolari siamo in grado di misurare questa variabilità e abbiamo avuto conferma che nel tempo l’ambiente ha selezionato biotipi diversi dello stesso vitigno, dando luogo a vini differenti in territori diversi dove si esprimono al meglio”.


“Nell’ambito di questa interazione – ha aggiunto Diego Tomasi, direttore del Crea Viticoltura Enologia di Conegliano – l’enorme numero dei vitigni italiani, sono ben 511 e più numerosi che in qualsiasi altro Paese del mondo, e la variabilità ambientale e pedologica del territorio italiano amplificano ulteriormente le espressioni dei vini, su cui si basano le nostre, a loro volta numerose, denominazioni di origine. Per esempio le differenze pedologiche si apprezzano grandemente nei vini: ecco che una Garganega su suolo calcareo esprime vini eleganti, fini con persistenza aromatica floreale, mentre su suolo basaltico troviamo frutti bianchi, spezie e pienezza gustativa. Come pure le tradizioni dei luoghi e le tecniche “segnano” vini come, per esempio, quelli della Valpolicella che solo grazie alle caratteristiche della Corvina, che nell’appassimento sviluppa un grande patrimonio aromatico, può dare l’Amarone”.

“A tutti gli effetti agli elementi fin qui elencati – ha spiegato Rosario Di Lorenzo dell’Università di Palermo – va aggiunta la tecnica colturale che è uno dei tre elementi che determina il risultato produttivo insieme al vitigno e all’ambiente. Tre elementi che è un errore gerarchizzare. La tecnica agronomica può consentire di raggiungere obiettivi produttivi ed enologici anche molto differenti agendo, per esempio, sulla gestione dell’acqua. La cultura agronomica, essendo tramandata e frutto della stratificazione dei saperi nel tempo e, al contempo, di una innovazione continua, è a tutti gli effetti parte della via italiana al vino. Non standardizza l’ espressione dei vini , ma la rende più fine”.

FONTE: winenews.it